Home Cronaca Mafia, mandamento della ‘montagna’: 57 arresti. Arrestato il Sindaco di S. Biagio Platani

Mafia, mandamento della ‘montagna’: 57 arresti. Arrestato il Sindaco di S. Biagio Platani

Quarantasei persone arrestate, due ancora ricercate all’estero, undici ai domiciliari e cinque con obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.

Sono numeri da maxi blitz. In carcere finiscono anche il sindaco di San Biagio Paltani, Santo Sabella, e uomini d’onore delle province di Palermo, Caltanissetta, Enna, Ragusa e Catania.

La Direzione distrettuale antimafia di Palermo e i carabinieri del Comando provinciale ricostruiscono la recente evoluzione delle famiglie mafiose della provincia di Agrigento. Un lavoro complesso quello del procuratore Francesco Lo Voi, dell’aggiunto Paolo Guido, e dei sostituti Claudio Camilleri, Calogero Ferrara ed Alessia Sinatra. L’ordinanza di custodia cautelare è del giudice per le indagini preliminari Filippo Serio. Una trentina le estorsione ricostruite, compresa quella ai danni di un centro di accoglienza.

Con la scarcerazione, avvenuta nel 2013, di Francesco Fragapane era stato ricostituito lo storico assetto del mandamento di Santa Elisabetta, di cui fanno parte Raffadali, Aragona, Sant’Angelo Angelo Muxaro e San Biagio Platani. I confini si sono ingrossati assorbendo anche quello di Santo Stefano di Quisquina. Sotto l’influenza dei mafiosi di Santa Elisabetta sono finiti anche Bivona, Alessandria della Rocca, Cammarata e San Giovanni Gemini. Ne è venuto fuori un super mandamento che gli indagati definitiva con la parola “montagna”

I personaggi chiave sono Francesco Fragapane (rappresentante del mandamento di Santa Elisabetta) che controllava la mafia agrigentina, Giuseppe Nugara (reggente della famiglia mafiosa di San Biagio Platani), Giuseppe Quaranta (uomo d’onore di Favara, referente della famiglia di Santa Elisabetta subito dopo il primo arresto di Fragapane), Giuseppe Luciano Spoto (reggente della famiglia mafiosa di Bivona e rappresentante del mandamento della “montagna”), Calogerino Giambrone, Salvatore La Greca e Vincenzo Mangiapane della famiglia mafiosa di Cammarata e San Giovanni Gemini, Pasquale Fanara (rappresentante della famiglia mafiosa di Favara), Antonino Vizzì (reggente della famiglia mafiosa di Raffadali), Ciro Tornatore (reggente della famiglia mafiosa di Cianciana), Salvatore Di Gangi (reggente del mandamento di Sciacca), Giuseppe Scavetto (rappresentante della famiglia mafiosa di Casteltermini), Giovanni Gattuso (reggente della famiglia mafiosa di Castronovo di Sicilia).

Delicatissima la posizione del sindaco Sabella, che finisce in carcere per mafia: sarebbe stato il “candidato dei boss” e una volta eletto avrebbe garantito ai boss la gestione degli appalti pubblici banditi dal Comune.

La mafia agrigentina, orfana del boss Giuseppe Falsone, cercava di affondare le mani persino sull’accoglienza dei migranti. Un affare ritenuto redditizio a fronte dei continui sbarchi sull’isola. Le indagini dei carabinieri hanno svelato due episodi di tentata estorsione. “La giusta strada sono io”, diceva Calogerino Giambrone, esponente di spicco della famiglia di Cammarata. Le intercettazioni hanno svelato che nel 2014 il clan stava tentando di indurre il titolare della associazione Omnia Academy di Favara a versare la “messa a posto” ma anche a accettare di assumere la figlia di un uomo al servizio della cosca. Erano 15 i minori ospiti nella struttura e già il sindaco di Cammarata, Vito Mangiapane, aveva visto la figlia assunta “approfittando della sua posizione”, scrive il giudice Serio che definisce Mangiapane anche “uno dei contatti diretti” di Calogerino Giambrone . L’estorsione e anche le assunzioni suggerite non vanno poi a buon fine scatenando l’ira di Giambrone: “Gli avevo detto che non mi interessavano più i picciotti ma di avere i soldi”.

In un altro caso, la tentata estorsione alla coop San Francesco di Agrigento, la struttura sarebbe stata messa su direttamente con le autorizzazioni comunali ottenute grazie ai buoni uffici di Cosa nostra. Un affare mai realizzato ma sul quale i progetti della mafia agrigentina erano quelli di ottenere non solo assunzioni (“Cinque noi e cinque loro”, diceva Giambrone) ma anche una percentuale su ogni migrante accolto e il 40 per cento degli introiti della struttura. Per il giudice, però, nonostante Giambrone afferma che “Si parla coi sindaci e io problemi non ne ho”, si configura più “una società con il titolare che non un’imposizione”.

L’indagine è durata oltre due anni e si è avvalsa di intercettazioni, pedinamenti, testimonianze delle vittime di estorsione. Chi non si piegava al pagamento riceveva atti intimidatori. Come la Ediltec di Mussomeli che nel 2014 si stava occupando della riqualificazione di piazza Messina a San Biagio Platani. Dopo avere tentato di imporre la fornitura da parte di una ditta e l’assunzione di un uomo del clan, i boss agrigentini alle prime resistenze alzano il tiro e inviano una busta con proiettili al titolare, gli fanno trovare una bottiglia di benzina e infine gli bruciano un macchinario. Il titolare alla fine si piega alle imposizioni di Cosa nostra.
Un importante contributo alle indagini è arrivato anche dalle dichiarazioni dei pentiti. Soprattutto quelle di Vito Bucceri, l’ultimo mafioso agrigentino che ha scelto di svelare i nuovi assetti di cosa nostra nella provincia e che è attualmente detenuto.

Infine sono state sequestrate le aziende V. & F. Group srl di Agrigento, Mg Giochi di Traina Nazarena con sede a Cammarata, il centro scommesse “GoldBet” di corso Umberto I a Casteltermini e LI.Ve.Ca. srl con sede a Racalmuto. Sigilli anche ai patrimoni aziendali delle imprese individuali di Stefano Valenti, Gerlando Valenti e Vincenzo Spoto.

fonte: http://livesicilia.it/2018/01/22/blitz-mafia-agrigento-retata_925146/